O. ha 22 anni, ma ne dimostra di più. Viene dalla Nigeria, un paese la cui storia politica è segnata da irregolarità e violenza. Ha 6 sorelle, ma non sa se suo padre è vivo. Hanno sparato in casa – racconta a fatica in un inglese stentato, con la voce rotta dal dolore – ed io ho sentito gli spari da fuori e sono scappato. Mio padre era dentro: ancora non sono riuscito a sapere se è rimasto ferito o ucciso.
Quella di O. è una storia di gioventù incisa dalla paura. Lo spostamento da una Nigeria fatta di difficoltà ma anche di valori e punti fermi – come l’appuntamento domenicale alla Redeemed Church of God – ad una Libia in guerra, è stato uno dei grandi traumi del giovane. Ci è andato per scappare dalle difficoltà, per allontanarsi dalla paura, ma l’ha vista soltanto crescere.
Ho passato 6 mesi in Libia, a Tripoli. Lì però non mi sentivo libero. Ad un certo punto non si distingueva più la polizia dalla gente comune, tutti erano armati, avevo paura di tutti. Non riuscivo più a lavorare e avevo paura anche a camminare per strada. Un giorno ho visto un ragazzino che giocava con una pistola: gli è partito un colpo per sbaglio ed ha ucciso una donna incinta.
L’altro grande trauma di O. è stato il mare. Non avevo mai visto il mare. Bagnarsi nell’acqua salata è strano, senti la pelle tirare. Ma dovevo scappare da quel posto. Dalla Libia a Lampedusa è stato un viaggio spaventoso, quando ho visto i bianchi avvicinarsi alla nostra barca, mi è sembrato di tornare in vita. Tra i ricordi del mare che ho, c’è il blu scuro della notte che fa paura e l’azzurro del mattino che rasserena, che dà tranquillità, che fa sperare.
Andrea Cuminatto
Foto di Anna Zucconi