
Gli occhi di Davide si illuminano quando arriva Rasak ad abbracciarlo. Come gli altri ragazzi della casa, ormai è come un figlio per lui. Sua moglie Carla fa strada, brontola affettuosamente un giovane Pakistano che sta a letto col cellulare in mano, come farebbe con uno qualsiasi dei suoi figli nella stessa situazione. La scelta di Carla e Davide per accogliere il prossimo è stata radicale. La coppia di Lastra a Signa, in provincia di Firenze, ha 5 strutture adibite a Bed&Breakfast. Non case abbandonate, né attività che non funzionavano, ma B&B molto richiesti dai turisti stranieri, che ancora oggi chiamano per prenotare una camera dove, fino a pochi anni fa, soggiornavano per le vacanze fiorentine. Ma le camere non sono più disponibili. Seguendo l’input dell’economia di comunione – il principio del Movimento dei Focolari che prevede di donare a chi ha bisogno un terzo del guadagno della propria attività – Carla e Davide hanno deciso di convertire queste strutture in case di prima accoglienza per i rifugiati.


Abbiamo iniziato questo esperimento nel 2011 – spiega Davide – ed abbiamo ricevuto così tanto da questi ragazzi che con la grande migrazione del 2014 abbiamo scelto di ampliare questo servizio. Adesso abbiamo 93 ragazzi, divisi in 5 case. In questa casa sono 4 le etnie degli ospiti, ma nonostante le diverse provenienze, nonostante i differenti motivi che li hanno spinti a partire, a scappare, dal loro paese natio, sono tutti accomunati da un sentimento verso Carla e Davide che va oltre la gratitudine. Sono come i miei genitori – afferma convinto un ventenne del Burkina Faso – sono la mia famiglia. Carla scherza rispondendo: Sono una mamma un po’ stinta. Ha negli occhi la gioia quando sente questi nuovi figli parlare di quello che hanno imparato a scuola, di cosa hanno cucinato, delle cose che hanno fatto. È proprio questo senso di famiglia ciò che differenzia l’esperienza di Lastra a Signa dalle classiche strutture di prima accoglienza. Qui non bastano un letto ed un pasto, non basta neanche mandare i ragazzi ai corsi di Italiano e – per i più preparati – alle scuole serali per prendere la terza media. Diamo i nostri numeri di cellulare ai ragazzi – spiega Davide – e loro ci chiamano quando qualcosa non va. A volte hanno bisogno di aiuto, altre volte vogliono semplicemente raccontare qualcosa.

Per i due è stato diverso il primo impatto. All’inizio avevo timore di non riuscire ad integrarmi con loro – racconta lei – essendo io donna e loro tutti musulmani. Ecco, questo è un mito da sfatare. Non solo non ho mai avuto questo problema, ma abbiamo accolto persone che erano sposate fra cristiani e musulmani. Un aneddoto simpatico su questo riguarda il vescovo di Firenze. A Montelupo Fiorentino era stata accolta una famiglia, lui musulmano e lei cristiana, con 6 figli. Una domenica eravamo da loro e con lei ed i figli andavamo alla messa in una piccola chiesa della zona. Arrivati, però, la messa non iniziava e non capivamo il motivo. Ad un certo punto è apparso mons. Betori, che era lì in visita pastorale. Ha messo da parte l’omelia che si era preparato ed ha improvvisato parlando dell’accoglienza. Poi, dopo la messa, ha voluto parlare con loro e farsi raccontare tutta la loro storia”.

A Davide piace chiacchierare con loro allegramente, conosce ormai ogni storia, molte delle quali sono dolorose. Quasi tutti sono passati per la Libia, chi per cercarvi lavoro, chi per fuggire da situazioni già difficili. Qui hanno trovato la guerra, hanno trovato un paese in cui non ci sono più regole e il razzismo degli arabi nei confronti dei neri è fortissimo. Carla racconta tristemente come tanti si sono illusi di lavorare, ma al momento di chiedere la paga venivano picchiati, torturati, uccisi. La maggior parte viene chiusa in queste prigioni atroci, ricavate magari da vecchi vagoni ferroviari che si arroventano sotto il sole o da bunker sotterranei. Quando sono troppo piene vengono spinti sui barconi se non uccisi sul posto. Ma neanche le strade sono sicure: il razzismo nei confronti dei neri è tale che i bambini arabi si procurano delle pistole e giocano al tiro a segno con i ragazzi di colore.
Il dolore nelle parole di Carla è tangibile, mentre parla di ciò che ha sentito, ma le emozioni vengono fuori ancor più quando descrive la storia delle persone che ha conosciuto. Abbiamo accolto una ragazza nigeriana. Figlia di un pastore protestante, sposata con un musulmano, con un bambino di 3 anni. Un giorno la chiama il padre per dirle che hanno dato fuoco alla chiesa e sua madre è morta. Sono scappati in Libia, dove il marito poteva lavorare. Racimolati i soldi per il passaggio, gli è stato detto ce potevano scegliere fra 3 posti in stiva o un solo posto sul ponte con giubbotto di salvataggio. Lei era incinta: il marito ha mandato solo lei. Il barcone è affondato in mezzo al Mediterraneo e si sono salvati solo in 38 grazie ai giubbotti di salvataggio. Carla è stata per lei una figura fondamentale, che ha voluto accanto a sé anche alla nascita del bambino.
Lei e Davide sono ancora legati ai tanti passati sotto al loro tetto ed ora spostati in altre zone. Qualcuno siamo andati a trovarlo in Puglia, abbiamo preso un treno notturno e siamo stati là 3 giorni dice Davide entusiasta. Ci immedesimiamo nella storia del colibrì che vuole spegnere un incendio portando una goccia d’acqua col becco. Il leone lo rimprovera dicendogli che non riuscirà a spegnerlo, ma lui risponde ‘io faccio la mia parte’. La vita per lui e sua moglie va vissuta ogni giorno mettendo la famiglia al primo posto. E la loro famiglia, ora, ha centinaia di volti.
Andrea Cuminatto
Grazie per qst articolo che finalmente racconta una storia di speranza e fiducia. Grazie a qst famiglia speciale!
Grazie! Per me è stato un piacere ascoltare la storia di Carla e Davide e poterla raccontare
Grazie al collega Luigi Accattoli, che finora non conoscevo ma che adesso inizierò a seguire, per la condivisione sul suo blog: http://www.luigiaccattoli.it/blog/un-abbraccio-a-carla-e-davide-che-accolgono-i-profughi/