Alla domanda Come è nato il progetto?, uno dei protagonisti dello spettacolo ironizza: Facendoci arrestare! Lo scorso 19 maggio un’ampia platea di persone ha preso posto davanti al palco allestito nel carcere di Prato, per assistere ad una rivisitazione dei Promessi Sposi davvero particolare. L’iniziativa, ormai rodata negli ultimi anni, sempre con opere diverse, è nata da un’idea dei professori della scuola Datini che insegnano nella casa circondariale. La regista Lucia Cannone è una docente di lettere; Già in passato – spiega – ho utilizzato con i bambini la strategia di partire dalla lettura di un’opera, sviluppando poi il testo teatrale. È un modo in cui si riesce ad entrare nel vivo della storia e ad apprezzarla maggiormente. E hanno partecipato anche gli studenti del Datini, che si preparano a lavorare in campo alberghiero, allestendo un ricco buffet per il dopo spettacolo.
Sul palco, fianco a fianco, insegnanti e detenuti. Noi insegnanti ci mettiamo in gioco – afferma il Renzo della situazione – perché è un modo di approfondire i rapporti personali, e anche di avvicinare altri ragazzi alla scuola. Crediamo nell’importanza della scuola in carcere e tanti, vedendo che alle lezioni sono affiancati progetti di questo tipo, sono invogliati ad iscriversi.
Nella cura della scenografia, dei costumi e dei trucchi, i veri protagonisti sono i detenuti, che partecipano con entusiasmo, ironizzando anche sulla propria situazione durante la recitazione. E così l’uomo che impersona Lucia strappa un sorriso al direttore quando, ad una battuta sulla libertà, aggiunge: Almeno un permesso?
Il teatro allenta le tensioni – dice uno degli attori – e ci aiuta a parlare, ad esprimerci. Inoltre, crea unione fra persone di diverse nazionalità: ognuno sul palco può trovare il proprio ruolo. Un compagno straniero aggiunge: Per noi che non siamo Italiani, è stato anche un modo per conoscere un’opera basilare della cultura locale, che altrimenti non avremmo mai letto.
Dietro le quinte c’è serenità, perché ciò che si presenta all’esterno è il frutto di un lavoro d’unità e collaborazione. Uno dei Bravi fa notare come Qui dentro si vede ogni persona per quello che è, anche nei confronti l’’uno dell’altro. Non c’è il razzismo che c’è fuori nei confronti di nazionalità e religioni diverse. Ed è un aspetto che risalta durante lo spettacolo. La diversa nazionalità degli attori, messa in luce soprattutto dalla lingua, non è una discriminante, anzi viene sfruttata in maniera positiva per caratterizzare i personaggi. Prescindendo dagli errori commessi, non è semplice la vita del carcere. Le attività come questa – sottolinea uno dei detenuti – sono davvero importanti per noi. Magari ci mettiamo anche in ridicolo sul palco, ma nelle ore in cui facciamo teatro ridiamo, scherziamo, a tratti ci dimentichiamo anche delle sbarre alle finestre.
Andrea Cuminatto