Il sogno, il progetto di Casa Officina è nato da me e quello che adesso è mio marito, Giuseppe, entrambi studenti fuori sede a Bologna. A parlare è Maura, fondatrice dell’Officina Creativa Interculturale di Palermo. Abbiamo cominciato studiando antropologia, linguistica e lingua cinese. A Bologna abbiamo iniziato a fare parallelamente due cose: abbiamo iniziato a insegnare italiano agli stranieri come volontari e poi mentre io approfondivo l’aspetto dell’educazione, Giuseppe si specializzava in lingua e cultura cinese.
Per noi fin da subito le lingue diverse erano persone. Quello che cercavamo erano occasioni d’incontro, per avere la possibilità di scambiarci delle storie. È grazie a queste esperienze che i due, tornati nella loro Sicilia, hanno deciso di creare una casa-laboratorio: un posto in cui vivere, che allo stesso tempo proponesse attività aperte il più possibile alle persone della città. Vivere in questa casa significava, per noi, fare educazione dando centralità all’accoglienza. Quando si entra nella Casa Officina, la prima cosa è sentirsi accolti.
Il senso d’accoglienza non è risultato importante solo per i migranti, primi destinatari del servizio, ma anche per tanti Italiani, adulti e bambini. Così Casa Officina è diventato un posto in cui si fa educazione interculturale, ma soprattutto si costruiscono e vivono delle relazioni difficili da trovare nella quotidianità: relazioni in cui c’è ascolto concreto, rispetto e in cui ognuno è partecipe. Maura spiega come tanti stranieri hanno avuto modo di raccontare, grazie a laboratori e narrazioni bilingue, storie del proprio paese nella loro lingua madre, affiancati da narratori italiani. Questo, che è stato uno dei nostri primi esperimenti, si è rivelato molto forte perché uno dei modi per riconoscere una persona è dargli la libertà di esprimersi. Ed esprimersi per uno straniero, nella propria lingua davanti a tante persone, in un attimo scardina quei meccanismi per cui è sempre il migrante ad essere “meno” perché non conosce il codice linguistico della maggioranza.
Sono tanti e diversi i
partecipanti a questi incontri, migranti, studiosi di una lingua, famiglie che vogliono conoscere più da vicino la cultura del bimbo che hanno adottato. Russo, rumeno, spagnolo, inglese, cinese, greco, turco sono solo alcune delle lingue oggetto delle attività, facilitate dalla presenza alla Casa Officina della prima biblioteca plurilingue per l’infanzia di Palermo, con libri in oltre 40 lingue, regalati soprattutto dai tanti viaggiatori che, di ritorno nell’isola, portano in dono un pizzico di cultura.
Ogni anno, l’inizio della primavera coincide con la Giornata mondiale della poesia. È qui che Casa Officina ha organizzato “Una casa di versi”: un pomeriggio di poesie plurilingue. Una donna turca, in questa occasione, ha parlato per la prima volta in turco a persone che non erano turche. Alla fine mi ha detto “Maura, questo è uno dei momenti più belli della mia vita, perché ho potuto esprimermi come sono veramente”. Ci si riconosce, nella lingua. Soprattutto quando si è lontani dal proprio Paese.
Casa Officina, come sottolinea Maura, è uno spazio di libertà. E la libertà che Maura e gli altri volontari offrono adesso all’espressione di tante persone è stato il frutto di una scelta: la scelta di tornare – in un’apparente contraddizione migratoria – dall’Emilia Romagna, modello nazionale per educazione e associazionismo, alla propria Sicilia. Una scelta difficile, radicale, di reinserirsi in una città dove sapevamo che c’era meno e, proprio per questo, c’era molto più bisogno di noi.
Andrea Cuminatto