Alluvione di Firenze: il prete che puliva le strade col Caterpillar

Particolare di una foto dell'alluvione del 1966 a Firenze, nel quartiere di San Niccolò in Oltrarno
Particolare di una foto dell’alluvione del 1966 a Firenze, nel quartiere di San Niccolò in Oltrarno

La ricordiamo come la notte degli schianti: all’alba del 4 novembre 1966 il fragore dell’arno in piena era accompagnato dagli STUMP STUMP STUMP dei mobili e dei bidoni che erano rimasti incastrati al Ponte alle Grazie, dato che l’acqua era troppo alta perché potessero passare sotto l’arcata. Alle Sieci l’acqua aveva portato via i bidoni d’olio della Chelazzi, che rimbalzando contro il ponte suonavano come tamburi di morte.

Don Giampietro Gamucci è ancora oggi, all’età di 92 anni, priore della chiesa di San Niccolò Oltrarno a Firenze. Nel ’66 era già parroco della piccola chiesa sotto al Piazzale Michelangelo, e fu uno dei tanti a dedicare ogni attimo di quell’incubo all’aiutare la gente. Aveva piovuto tutto il mese precedente ricorda  don Giampietro – e la sera del 3 novembre pioveva ancora più forte del solito. Alle 5 del mattino squillò il telefono: era l’amministratore dei beni della Chiesa, che mi avvertì del pericolo dicendomi che a sud di Firenze era tutto sommerso. Corsi alla finestra e vidi che già le strade erano allagate e dalle fogne usciva melma che avvolgeva le auto parcheggiate. Per fortuna era un giorno di festa e la maggior parte delle persone era a casa.

Don Giampietro Gamucci intento a raccontare la sua storia
Don Giampietro Gamucci intento a raccontare la sua storia, con il manifesto fatto un anno dopo dal comitato di quartiere per la ricostruzione

Rischiai di rimanere fulminato quando andai staccare la corrente in mezzo agli scrosci d’acqua. La prima cosa che feci, quando era ancora buio, fu quella di andare in chiesa a prendere il Santissimo, per portarlo al sicuro al piano di sopra. Fu subito dopo l’alba che, avvicinandomi all’Arno, vidi iniziare la vera tragedia: l’acqua saliva sempre di più bloccando gli accessi alle case e rendendo impossibile muoversi per strada in quel fiume di fango. Addirittura due signore straniere, che incontrai la mattina mentre cercavano di ripulire il loro Maggiolino, ritrovarono la macchina appesa ad un albero. Io passai la mattina barricato in canonica, dopo aver staccato le corde delle campane, nel caso avessi dovuto uscire calandomi dalla finestra.

Don Giampietro è ancora lucido, e racconta la vicenda come se fosse successa ieri, a tratti con sofferenza, a tratti con un pizzico d’entusiasmo per quello che riuscì a fare nell’urgenza del momento. Nel pomeriggio – continua – l’acqua aveva smesso di salire. Un amico, Alessandro Marzocchini, aveva una barca a motore che d’inverno teneva in garage a Firenze. Andai da lui, che si immerse e riuscì a tirarla fuori. La pulimmo velocemente e la usammo per fare la spola dallo stadio, dove arrivavano i rifornimenti per l’emergenza. Capitò che con il mio buono, che serviva ad avere un prosciutto e un salame, riuscii a prendere non so come 4 prosciutti e 10 salami. Almeno permisi a tanti parrocchiani di mangiare qualcosa di diverso dal latte in polvere.

Quadri dell'epoca in casa di don Giampietro
Foto dell’epoca in casa di don Giampietro

Il problema più grande fu la pulizia dal fango – ricorda con una nota di dolore – ma fu anche il momento in cui si creò più unità fra le persone. Io pensai subito al sig. Passaleva che lavorava ai cantieri del comune: avevano un trattorino, che presi per pulire le strade. Poi andai dai costruttori Pontello: mi misi alla guida di un Caterpillar e iniziare a ripulire il quartiere. Di giorno spingevamo il fango nell’Arno e facevamo dei mucchi con i mobili e gli oggetti ormai da buttare. La sera davamo fuoco a queste grandi pire e tutta la popolazione vi si riuniva intorno, unita dalla sofferenza comune.

In ogni aneddoto sulla fatidica notte e sui giorni a venire, il parroco dell’Oltrarno sottolinea sempre l’ironia che contraddistingue i Fiorentini, anche nei momenti di difficoltà. Fra gli altri, non si stanca mai di ripetere l’episodio della notte di Natale di quell’anno quando, in piena fase di ricostruzione, il Papa Paolo VI venne a dire la messa nella basilica di Santa Croce. Paolo VI faceva l’omelia sul Natale e disse la frase “In questa notte in cui volano gli angeli…”, ma non riuscì a finirla che dalla folla si sentì gridare “Son volate tante Madonne che ora un c’è più posto per gli angeli!”

Andrea Cuminatto

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