Parto dalla mia infanzia, perché in comunità si cercando tutti i motivi, le cause, della tossicodipendenza, e le troviamo nell’infanzia e nell’adolescenza. Andrea, giovane Pescarese, è da due anni in una comunità dell’Associazione Papa Giovanni XIII a Rimini, e sta concludendo il suo percorso di recupero dalla tossicodipendenza. Adesso sta bene fisicamente, ma soprattutto ha ritrovato un po’ di quella pace interiore che per anni aveva perso.
Quando avevo 5 anni i miei genitori si sono separati in maniera molto conflittuale. Ho vissuto in un clima agitato in famiglia fin da piccolo e a lungo non ho visto mio padre, quindi per me la famiglia era composta da me, mia madre e mio fratello. Verso mio padre provavo rancore perché lo vedevo come la causa di tutti i mali: mi aveva abbandonato. Con mia madre, e con tutti i suoi compagni, il rapporto era difficile: le volevo bene ma non mi sentivo libero di esprimerlo nel modo giusto.
Durante il periodo della scuola, specialmente negli anni delle superiori, Andrea sottolinea come avesse bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Far parte di un gruppo per me ha voluto dire fare cose non sempre positive. Consideravo come “i migliori” quelli che erano al centro dell’attenzione, anche se lo erano per motivi negativi. Mi sembrava che tutto ciò che facessero non avesse conseguenze per loro, e quindi cercavo di imitarli. Così non riuscii a dire di no quando mi offrirono la prima canna. “Chissà cosa pensano di me?” era ciò che avevo in testa ogni volta che mi veniva proposto qualcosa: per questo dicevo di sì a tutto.
Sentirsi parte di un gruppo è una cosa bella, la sto vivendo adesso in comunità. Ma a quel tempo, pur di sentirmi parte di un gruppo, accettavo qualunque gruppo e qualsiasi compromesso. A 17 anni ho iniziato a usare l’eroina. All’inizio farmi le canne con questo gruppo mi faceva sentire meglio degli altri, pensavo al momento ed ero convinto che non avrei avuto dipendenza. Mi dicevo “Posso fare qualsiasi cosa, smetto quando voglio, non diventerò uno di quelli che stanno per strada a chiedere soldi”: invece diventi proprio così. Mi sentivo solo: ogni giorno recitavo una parte, la parte di quello che non lo tocca niente, che è forte e sta bene sempre. Non ero libero di dire come stavo e provavo la vera solitudine. Mi avvicinai all’eroina per combattere questa solitudine.
Mi sono sentito messo da parte quando ho iniziato a rendermi conto che i miei amici di sempre, quelli con cui ero cresciuto, hanno iniziato ad evitarmi per ciò che facevo. Da lì la mia vita è precipitata, riempita in tutte le giornate dalla droga, dai tempi scanditi dalla tossicodipendenza. A 22 anni sono entrato in comunità non per scelta, ma per scappare dai problemi familiari. Dopo 8 mesi sono tornato a casa ma ci sono ricaduto, ho ricominciato a bucarmi ed è andata peggio di prima.
Adesso, a 28 anni, Andrea è da 2 anni in una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII: una struttura dove non ci si sente in ospedale ma in famiglia. Un luogo in cui la quotidianità è scandita dallo stare insieme, dal fare le cose fianco a fianco, dal supporto reciproco e dagli stimoli positivi l’uno verso l’altro. Adesso ho capito la bellezza del sentirmi davvero parte di un gruppo, dell’avere persone di cui fidarmi e del prendere in mano la mia vita.
Andrea Cuminatto
“Con mia madre, e con tutti i suoi compagni” … e poi ci si preoccupa dei bambini che vengono cresciuti da due donne o da due uomini! Dico “cresciuti”, perché parto sempre dal presupposto che il bambino sia nato da una precedente relazione tra un uomo e una donna.