
Giorgia è una ragazza apparentemente normale, a vederla per strada non diresti che ha visto la morte in faccia. Eppure nel 1999, a 17 anni, ha rischiato di metter fine alla sua vita per un gesto fatto senza pensare. Come tante altre ragazze e tanti altri ragazzi della stessa età, si è lasciata trascinare dal momento, prendendo mezza pasticca di ecstasy. Questa le ha causato un’epatite tossica fulminante, che ha richiesto un immediato trapianto di fegato.
Ora, dopo 16 anni, Giorgia Benusiglio viaggia per l’Italia raccontando ai ragazzi la propria storia perché, spiega, io non ero consapevole della possibilità di morire prendendo un’ecstasy. Tutti sanno che le droghe fanno male, ma anche fumare fa male: sul pacchetto di sigarette c’è scritto che uccide, ma non pensi che fumando una sigaretta vai all’aldilà. Il padre di Giorgia, prendendo i vestiti che aveva quando è finita in ospedale, ha trovato nel suo giubbino un depliant del Ministero degli Affari Sociali, con testi approvati dal Ministero della Salute: c’era scritto che le sostanze stupefacenti fanno male, ma se proprio volevi provarle ti davano consigli per limitare i danni. “Prendila divisa a metà a distanza di un’ora, bevi tanta acqua, non mischiare con alcol ecc”: questo ciò che consigliava l’opuscolo. Ed è comprensibile che degli adolescenti, già di per sé tentati all’uso di MDMA in discoteca dai coetanei, leggendo un depliant del genere approvato dal Ministero della Salute pensino “se provo una volta, seguendo queste indicazioni, non mi succede nulla”. Anche grazie all’impegno di Giorgia e suo padre, oggi questi opuscoli non sono più distribuiti: servivano a limitare i danni in ambienti in cui i giovani facevano già uso di droghe, ma finivano per fare danni ulteriori in altri ambienti.

Un aspetto importante della storia di Giorgia è il suo rapporto con Alessandra, la donatrice del suo fegato. Alessandra in quei giorni moriva a causa di un incidente stradale. Adesso mi sento Giorgia ed Alessandra insieme – racconta – perché un pezzo di lei è sempre con me. Di solito un trapianto, per chi è malato e aspetta un organo da anni, è la cosa più bella del mondo. Io però ho anche i sensi di colpa perché quel fegato poteva salvare una persona malata, invece ha salvato me per la cavolata che ho fatto.
La scelta di dare ai giovani un messaggio è arrivata per la lezione imparata da quanto accaduto, ma anche da quanto vive ancora ogni giorno: ho letto su internet che gli organi trapiantati possono durare solo un tot di anni e mi sono chiesta “Ma allora ho una scadenza?”. I dottori mi hanno spiegato che non avendo una malattia che fa regredire anche il nuovo organo, non ho questo problema, ma allo stesso tempo devo vivere con dei farmaci che mi tengono il sistema immunitario basso per non far rigettare il fegato dal mio stesso organismo. Rivolgendosi ai ragazzi, chiede: sareste in grado di vivere grazie a dei farmaci? Ma anche: Sareste in grado di passare 12 ore di intervento, di arrivare a pesare 27 kg, di vivere con una cicatrice che vi solca il busto? E così via, per far rendere conto di cosa sia la vita “dopo”, sempre se si è tanto fortunati da sopravvivere come lei. L’esperienza di Giorgia, raccontata direttamente e con molta apertura anche alle domande più scomode da parte dei ragazzi, è una valida alternativa a quell’opuscolo del Governo, per fare davvero prevenzione attraverso una corretta informazione su questo tema e su tutto ciò che ci ruota intorno.
Andrea Cuminatto