Atterrare a Belgrado non è come mettere piede in una qualsiasi altra città europea. La gente sull’autobus che porta al centro della capitale serba ha uno sguardo cupo, non è colma della gioia che normalmente si prova tornando a casa propria.
Pane e poveri dolcetti fritti vengono venduti in baracchini ed edicole, in contrasto innaturale con bibite e snack di marche internazionali. Mancano i “Buongiorno”. Mancano i sorrisi. Un tram passa con uno sferragliare assordante che distrae l’attenzione da un palazzo bucato da una bomba, mai più ricostruito. Sono forse l’unico a salirci con il biglietto. Le poche persone a bordo lasciano che a pagarlo siano gli stranieri, quelli che possono permetterselo.


Il museo di storia militare rappresenta al meglio il luogo in cui ci si trova. In questa città di confluenza fra Sava e Danubio, dove l’incontro di acque diverse avrebbe potuto rappresentare l’incontro di culture e tradizioni, ciò che risalta agli occhi è invece il frutto dello scontro.
A Novi Sad quest’aria si respira meno, forse per la maggior vicinanza all’influenza ungherese. Ma già nella provincia, paesini come Čoka mettono nel cuore un senso di nostalgia mista ad angoscia. Aria che sa di metallo, strade deserte, negozi poveri di prodotti e persone povere d’entusiasmo, forse di speranza, ancora provati dalla guerra così recente e presente nella vita d’ogni famiglia.
Una ragazza mi racconta la sua storia. Anche lei in visita come me, è tornata a vedere i luoghi in cui ha vissuto. Bosniaca, è venuta qui da Sarajevo quando era bambina, per scappare dai bombardamenti che vent’anni fa distruggevano la sua città natale. Lei, allora bambina senza colpe, vittima della distruzione che la circondava, adesso fa parte di quei numerosi giovani che vogliono dare nuova vita alla terra in cui sono nati.

È la speranza negli occhi delle nuove generazioni che aiuta a dimenticare la tristezza letta in quegli degli anziani. E mentre i mattoni frantumati dalle bombe lasciano interdetti ed incerti, il sole che tramonta incendia i vagoni abbandonati sulla vecchia ferrovia, chiudendo il giorno come un fuoco che purifica dagli errori del passato.
Andrea Cuminatto
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